R.I.P.

lunedì 1 giugno 2009

6: UN SOGNO

Sono in viaggio nella maniera tradizionale e il teletrasporto giace in salotto con una coperta buttata sopra, come un animale impagliato e spelacchiato in un museo di storia naturale chiuso.
Forse è un bene, avevo bisogno di staccare la spina, lo stress delle ultime settimane si faceva sentire e a lungo andare sono sicuro avrebbe pregiudicato le mie ricerche.
Forse per questo stanotte non ho sognato il lavoro.
Ricordo che vagavo di sera per un quartiere di enormi edifici insieme a una figura familiare la cui identità resta celata in una sorta di mutevole indefinitezza. Sono quasi sicuro che la città fosse New York, una grande mela onirica. Il quartiere, nella cui vasta piazza centrale ci trovavamo, era stato costruito in un periodo di crescita ed espansione della città agli inizi del secolo scorso, edificato per accogliere gli immigrati italiani. Osservavo questi mastodontici palazzi razionalisti e mi stupivo che le luci dei due più imponenti fossero spente: non una finestra illuminata.
La cosa aveva un aspetto sinistro.
Il sogno poi continuava, ma non era la stessa città.
Ricordo la pioggia vista cadere dall'interno di un autobus e i ciclisti spicciarsi per non infradiciarsi: un ragazzo ci superava mentre effettuavamo una fermata e io, che avevo preso posto in uno dei sedili di coda, notai che la ruota anteriore della sua bicicletta era piegata, eppure girava.
Ricordo di essermi trovato in un negozio, poi grande magazzino, alla ricerca di certe tende di cui avevamo bisogno: al guinzaglio avevo un bellissimo cane presto trasformatosi in orso e la cosa non mi stupì, ma ricordo la preoccupazione crescere in me quando ho visto un poliziotto parlare con un impiegato. Chissà quali erano le loro leggi in materia di bestie al guinzaglio, pensai, e non volendo complicazioni io e l'orso ce la siamo filata.
Il resto è nebuloso.

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